Il 25 agosto 1945 il sindaco Pietro Cristino (nominato dal CLN) chiese il passaggio di Montecalvo Irpino alla provincia di Benevento. Non era una novità: un’analoga istanza era stata già inutilmente formulata nel 1923. L’allora commissario prefettizio dell’amministrazione provinciale di Avellino, il navigato ex parlamentare Francesco Amatucci, oppose il suo netto rifiuto a questa e alle analoghe richieste di Sant’Arcangelo Trimonte e Buonalbergo: “mi permetto di far presente che in analoghe condizioni si trova il comune di Pannarano che, pur appartenendo alla provincia di Benevento, è completamente, a sua volta, intercluso nel territorio della provincia di Avellino e la popolazione, a quanto sembra desidererebbe il passaggio del comune alla provincia di Avellino [… ]Si potrebbe, in tal modo, abbinare il provvedimento, con l’eliminazione delle due anormalità topografiche e con una certa compensazione territoriale e finanziaria fra le due province interessate, ciascuna delle quali perderebbe un comune per riacquistarne un altro“. Avvertendo il potenziale rischio di frantumazione del territorio provinciale (erano in fermento anche vari comuni limitrofi alle aree salernitana e nolana) un anonimo funzionario della prefettura annotò a margine della delibera di Montecalvo: “a poco a poco la provincia verrà soppressa!”
A Montecalvo descrivere quel che desta nell’animo mio lo spettacolo terribile della strage di Montecalvo è impresa difficile quanto quella di voler definire quale sensazione di autentico raccapriccio m’abbia pervaso e colpito fin dall’ingresso in paese. Ì proprio in questo comune che la irreparabilità e consistenza del disastro assume veste e colore di tragedia imponderabile. M’inoltro per le deserte strade di questo paese ove manco da un mese appena, e qualcosa mi si stringe ed accartoccia nell’intimo, qualcosa freme nella mia subcoscienza. L’accesso alle strade maggiormente colpite è rigorosamente vietato, stante il gravissimo pericolo d’improvvisi crolli. Attraversare un Comune devastato, in veste di turisti, attraversarlo come fanno alcuni... necrofili o necrofori che dir si voglia, produce indubbiamente una impressione assai viva. Ma tornare in un paese che si conosce bene, che si è visto altre volte, tornarvi all’indomani di un disastro colossale per vederlo crollato, per sentirlo deserto e per non riconoscervi che dei frammenti, dei residui, delle semplici tracce, è più straziante d’un martirio. Procedo in silenzio, a capo basso, quasi tenga coda all’invisibile corteo di tutte le vittime della notte, mentre ogni cosa, a me d’intorno, ed ogni pietra, parmi trasudi e stilli sangue. Nella parte più alta del paese è una rovina indescrivibile.