RICORDO DI MIO PADRE IRPINO, SICILIANO SILVESTRO, GIOVANE COMUNISTA
Una microstoria irpina della classe subalterna, con poesia e immagini,
e scampoli di vita civile e politica di Montecalvo Irpino.
Mio padre, Silvestro Siciliano (21.11.1924 – 15.11.1949), contadino e bracciante comunista, fu amico di don Pietro Cristino (Montecalvo 1882 – 1962) (il ‘don’, riduzione di donno, signore, dal lat. Dominus, titolo riservato a principi e sacerdoti, era un retaggio che gli Spagnoli lasciarono nei territori italiani di proprio dominio, per i gentiluomini e le persone di riguardo), socialista e orgoglioso antifascista di Montecalvo Irpino che il regime fascista teneva sotto controllo, segregandolo in casa quando si svolgeva qualche manifestazione politica importante o vi era qualche esponente della casa reale dei Savoia che girava per l’Irpinia.La sezione del Partito Comunista Italiano era stata fondata a Montecalvo Irpino, in Via Roma, nel gennaio del 1944, col nome di “Circolo di cultura della Sezione Comunista Giuseppe Cristino”, con la benedizione del parroco don Michele Bellaroba, sia alla sezione sia alla bandiera rossa, ricamata da Vincenzina La Vigna, dirigente della locale Azione Cattolica femminile e fidanzata di Antonio Smorto, con cui si sarebbe sposata.

Tra i fondatori vi erano Antonio Giasullo, Antonio Pappano, Pompilio Santosuosso, Fedele Schiavone, Antonio Smorto, Antonio Tedesco e altri.
Pietro Cristino, speziale e farmacista, prima socialriformista e poi socialista dal 1924, era padre di Giuseppe (1918-1941), morto in Spagna prigioniero di Franco, per aver partecipato alla Guerra civile spagnola nelle fila delle Brigate internazionali.
Dopo l’avvento del fascismo nel 1922, Pietro Cristino fece le sue scelte politiche e operò in opposizione al regime. Sottoposto a restrizioni severe delle libertà personali, a seguito
della “ammonizione” della Questura, motivata dalla sua accertata attività sovversiva, egli sopportò con dignità ogni vessazione, compreso un breve arresto cautelare, in occasione delle nozze di S.A.R. il Principe Ereditario, celebrate il 12 gennaio 1930.
Intransigente oppositore del regime, divenne un punto di riferimento morale per gli antifascisti montecalvesi e per quelli dei comuni vicini, perché col tempo ogni forma d’azione politica gli era impedita, con ispezioni e controlli rigorosi di polizia.
Diventò il primo sindaco democraticamente eletto nel 1946, in un comune, Montecalvo Irpino, dove non si era mai sopito lo spirito democratico e antifascista.
Gli ultimi anni della sua vita li avrebbe trascorsi seduto e silenzioso su una sedia, a causa di una paralisi che l’aveva colpito, sostituito nella carica di sindaco da Francescantonio Panzone, anche lui socialista.
Ireneo Vinciguerra (Ariano Irpino 1887-1954), socialista e antifascista di Ariano Irpino, fu deputato dell’Assemblea Costituente e amico personale di Pietro Cristino. Il 7 aprile 1946 partecipò a Montecalvo alla sfilata e alla manifestazione per l’elezione di quest’ultimo a sindaco del paese.
La sfilata per le vie del paese fu ampiamente fotografata e sul web girano queste stesse foto, che non sono né descritte né didascalizzate ma riportano un marchio abusivo.
Agnese Cristino, cugina di mio padre e nuora, per averne sposato il figlio Oreste, di Pietro Cristino di cui ereditò l’archivio, nel 2004 mi affidava nove foto della sfilata del 7 aprile 1946, scattate tutte dal fotografo professionista Nicola Auciello, perché le utilizzassi per i miei articoli. Io le scannerizzai e poi gliele restituii. In quattro di esse compare la figura di mio padre, in una mia madre con sua sorella e sua madre, e ho riconosciuto molti compaesani che conoscevo con i loro soprannomi.
 
PÀTRIMU LU CUMUNISTA
Si chjamàva Silivèstru pàtrimu
e ‘ddrù nomu com’a Ppapa Silivèstru
ci l’era missu tatón’Angilumarìju,
ca s’era lèttu Lu rijàmu di Francia
e ssi nasceva fèmmina la chjamàva
Nnastasìja, com’a la principessa di Russia.
Quannu nasciétt’ìju, pàtrimu era
già cumunista com’a ttant’ati di lu paese,
lu paese russu di l’Irpinia, e amicu
di don Pietru Cristinu, sucialista,
ca li fascisti tinévunu come carciaràtu,
e fu lu primu sìnnicu ch’ascètt
a lu quarantasèji, sùbitu dòppu la uèrra,
cu la lista sucialcumunìsta di la Spiga.
Ìju nasciétt pócu dòppu ‘nd’a lu casìnu
andó ‘nfacc’a lu muru iddr’era disignàtu
la fàuc’e martèllu e mi facètt sippónda
di tatóne ch’era muórtu a lu trentanóve
e ppi mi fa cumpagnìja a ppiédi di la cùnnila
si prucuràvu nu cacciuniéddru jancu
ca chjamàvu Stalìnu, com’a Baffóne,
e cquannu facètt ruóssu tinéva n’uócchji
ca li lacrimijàva sèmp, pi na uanciàta
ca li dètt nu jattóne ca iddru ‘mpircudéva.
Pàtrimu si ni jètt a lu quarantanòve,
dòppu tanta uaji passati cu la malaria
e mmègliu fu pi iddru, accussì nun bidètt
lu magna magna e li uasti ca faciérnu
li dimucristiàni dòppu li duji tirramóti.
Puru mamma era cumunista, ma éddra,
ca tinéva capu e brazza bóne pi la fatìja,
‘n si dév’a scopre, sinnò facévunu parzialità,
eppuru, l’aiuti ch’arrivàvunu da la Mèrica
e chi li bbidètt, ca èrnu li parrucchjànu
ca si li spartévunu chjù di l’ati cu li priéviti
ca nni l’abbastàva l’affittu di tanta terre!
Stalìnu criscètt cu mme fin’a nnòv’anni,
po’, pi na magnàta di cuccitiéddri muorti,
truvati jittàti pi la vija, stinnètt li piedi e pi me
fu come si pàtrimu fóss muórtu n’ata vóta.
Angelo Siciliano
Zell, 5 novembre 2015
MIO PADRE IL COMUNISTA
Si chiamava Silvestro mio padre
e quel nome come Papa Silvestro
glielo impose nonno Angelomaria,
che aveva letto il libro ‘I reali di Francia’
e se fosse nato femmina la chiamava
Anastasia, come la granduchessa di Russia.
Quando nacqui io, mio padre era
già comunista come tanti altri del paese,
il paese rosso d’Irpinia, e amico
di don Pietro Cristino, socialista,
che i fascisti tenevano come recluso,
e fu il primo sindaco eletto
nel 1946, subito dopo la guerra,
con la lista frontista della Spiga.
Io nacqui poco dopo nel casino
sul cui muro egli aveva graffito
la falce e martello e mi nominò sostegno
del nonno ch’era morto nel 1939
e per mia compagnia ai piedi della culla
si procurò un cucciolo di cane bianco
che chiamò Stalin, come Baffone,
e fattosi grande aveva un occhio
che gli lacrimava sempre, per un’artigliata
che gli rifilò un gatto che lui perseguitava.
Mio padre morì nel 1949,
dopo tante sofferenze patite con la malaria
e meglio fu per lui, così non vide
l’approfittarsi e le malefatte
dei democristiani dopo due terremoti.
Pure mia madre era comunista, ma lei,
che aveva testa e braccia buone per lavorare,
non si rivelava, per non ricevere torti,
eppure, gli aiuti che giungevano dagli USA
e chi li vide, erano quelli delle parrocchie
a spartirseli più di altri coi preti
cui non bastava l’affitto per tante terre!
Stalin il cane crebbe con me fino a nove anni,
poi, per una scorpacciata di coniglietti morti,
che trovò buttati sulla via, morì e per me
fu come se mio padre fosse morto di nuovo.
  
Nota
Mio padre Silvestro Siciliano (21.11.1924 – 15.11.1949), fu contadino e bracciante comunista di Montecalvo Irpino (Av) e risolse la sua esistenza nel mese di novembre, in cui nacque e morì.
Josif Stalin, protagonista della rivoluzione bolscevica del 1917 e poi dittatore dell’URSS dal 1924 al 1953, si liberò negli anni Trenta di intellettuali, compagni, dissidenti, oppositori e comandanti dell’Armata Rossa, attraverso le terribili “purghe” che fecero almeno 800.000 morti.
La gente scherzava dicendo: “Adda minì Baffone!”. Questo per via dei lunghi baffi di Stalin.
Mio nonno Angelomaria Siciliano (28.2.1882 – 4.1.1939), contadino, che io non conobbi, era il saggio della contrada Costa della Mènola, a Montecalvo Irpino, dove passava tanta gente che andava a lavorare la terra nei valloni. Viveva con la famiglia nel casino di campagna, detto “Casino di Minòcchio”, dal soprannome del commerciante di ferramenta che glielo vendette e che aveva il negozio, “la putéja”, all’imbocco di Via S. Caterina, “Via di la Chjazza di sótta”, dietro la Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo, abbattuta assieme al convento di S. Caterina d’Alessandria dopo il terremoto del 1930. “Minòcchio vinnéva puru li ssanguètt” per il salasso di chi stava male e “l’allivàva ‘nd’à la funtana d’acqua ‘ndrijanèddra, da còpp’a l’uórtu”. Come toponimo è rimasto “La funtan’a li ssanguètt”.
Attorno al focolare e durante i lavori nei campi egli raccontava storie lette nel libro ‘I reali di Francia’ dello scrittore medievale Andrea da Barberino, Andrea Mengabotti o Andrea de’ Mengabotti (Barberino Val d’Elsa, 1370 circa – 1432 circa), che probabilmente aveva comprato a Napoli all’inizio del Novecento, in uno dei suoi tre viaggi di andata e ritorno dagli USA, dov’era emigrato per lavoro.
Leggendo questo libro, egli s’ispirò, per il nome di mio padre, alla figura di Papa Silvestro I, papa all’epoca dell’imperatore Costantino dal 314 al 337, fatto poi santo. Se fosse nato femmina, l’avrebbe chiamata Anastasia, come la granduchessa russa (1901-1918), quartogenita dello zar Nicola II e della zarina Alessandra, uccisa assieme a tutta la famiglia per ordine dei bolscevichi.
Andrea da Barberino fu uno scrittore importante, perché inventò l’arte del poema di genere cavalleresco ed ebbe seguito in autori successivi, tra cui troviamo Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto.
Mio nonno, con due sorelle, restò orfano di padre a cinque anni, fu mandato “a padrone”, vale a dire a lavorare presso un massaro e il trauma del distacco creò una sorta di barriera tra lui e sua madre, che intanto si risposò ed ebbe diversi altri figli. La madre, rimasta di nuovo vedova, si sposò per la terza volta ma non ebbe più figli e morì in seguito a una caduta dal basto dell’asina, su cui era seduta, mentre si recava per affari ad Ariano Irpino.
In famiglia non trovai informazioni a riguardo dell’alfabetizzazione del nonno Angelomaria.
La prima cellula del Partito Comunista Italiano fu fondata a Montecalvo Irpino, in Via Roma, nel gennaio del 1944, col nome “Circolo di cultura della Sezione Comunista Giuseppe Cristino”, con la benedizione del parroco don Michele Bellaroba, sia alla sezione sia alla bandiera rossa, ricamata da Vincenzina La Vigna, dirigente della locale Azione Cattolica femminile e fidanzata di Antonio Smorto, con cui si sarebbe sposata.
Tra i fondatori vi erano Antonio Giasullo, Antonio Pappano, Pompilio Santosuosso, Fedele Schiavone, Antonio Smorto, Antonio Tedesco e altri.
L’amministrazione comunale di Montecalvo, guidata da socialisti e comunisti, alleati nella Lista frontista della Spiga (a livello nazionale vi era il Fronte popolare, come unione elettorale dei partiti della sinistra contro le forze reazionarie o centriste) avente come simbolo la spiga di grano, durò dal 1946 fino al 1960 e il paese divenne una delle roccaforti rosse dell’Irpinia.
Nel 1960 i democristiani, non senza polemiche, conquistarono il comune per qualche voto di differenza. L’avrebbero conservato a intervalli sino al 2004, per circa 26 anni, grazie al proselitismo, al trasformismo di tanti e al clientelismo. Contribuirono a gestire i fondi per la ricostruzione del paese, dopo i terremoti del 1962 e del 1980.
Certi abbattimenti, incomprensibili, di palazzi e chiese importanti, l’abbandono del centro storico e di qualche intero quartiere periferico, come il Trappeto, hanno lasciato l’amaro in bocca a tante persone.
In paese, che non ha mai avuto una biblioteca pubblica degna di tale nome, a riguardo della storia civile ci si basa su un equivoco o malcelato vezzo: si cerca di far coincidere la storia del paese con quella di nobili, Chiesa e borghesia locale, trascurando completamente la classe degli umili, l’unica a produrre ricchezza col proprio lavoro, vessata e parassitata da chi la dominava. Non si è stati in grado di assegnare, a vie o a piazze del paese, il nome di compaesani illustri, come Giuseppe Cristino, morto prigioniero del dittatore Franco in Spagna, e Gustavo Console, amico dei fratelli Carlo e Nello Rosselli e martire dell’antifascismo, cui è intestata una via di Firenze. Insomma, Montecalvo è il paese, in cui la storia delle persone degne e della gente comune continua a essere rimossa o cancellata.
Angelo Siciliano
Zell, 5 novembre 2015

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